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Shakespeare era pugliese e giocava in piazza Vecchia (storia vera)

Shakespeare era pugliese e giocava in piazza Vecchia (storia vera)

Vi racconto una storia. Vera, documentata e seria. I più grandi studiosi (anche inglesi) concordano sul fatto che William Shakespeare non può essere il figlio del conciatore inglese John Shakespeare di Stratford-Upon-Avon, cittadina nel centro dell’Inghilterra.

Il suo nome non appare nei registri più importanti della città. Il padre era analfabeta. Per oltre sette anni si perdono le sue tracce. Lo si ritrova a Londra come guardiano di cavalli in un teatro del centro. E improvvisamente, un ragazzo semplice, che ha interrotto gli studi all’età di 12 anni, inizierebbe a scrivere sonetti, tragedie e rinfoltire con migliaia di nuovi lemmi il vocabolario inglese. A questa storia non crede più nessuno, salvo le migliaia di turisti che visitano la presunta casa natale di Shakespeare, ritrovando un’umile casa, nessun libro e poca fantasia tutt’attorno.

 

Benché non sia mai stato trovato un solo scritto originale, né un libro che gli fosse appartenuto, per più di tre secoli l’origine inglese di Shakespeare non è mai stata messa in dubbio. Il primo a farlo, all’inizio del Novecento, è stato un giornalista italiano, Santi Paladino (1902-1981), che trovò per caso nella biblioteca paterna un antico libro, intitolato I secondi frutti e firmato da un certo Michel Agnolo Florio.

Leggendolo, Paladino scoprì che molte frasi di quel libro erano identiche a quelle contenute nelle opere di Shakespeare. Si trattava di plagio? Impossibile: quel libro era stato stampato nel 1549, circa 50 anni prima della comparsa delle opere shakespeariane, anzi prima ancora della nascita del poeta (1564). Quindi?

Il giornalista Paladino iniziò ad indagare e scoprì che Michelangelo Florio, altro non era che che il figlio del medico Giovanni Florio e della nobildonna Guglielma Crollalanza, nato a Messina e poi fuggito a Treviso con la famiglia, di origine ebraica e religione calvinista, per sfuggire alla persecuzione religiosa dell’Inquisizione (la Sicilia era allora sotto la Spagna).

Il giovane Michelangelo Florio studiò a Venezia, Padova e Mantova; viaggiò molto, visitando Danimarca, Grecia, Spagna e Austria, e diventò un umanista di grande cultura, ricercato come precettore dalle famiglie più ricche d’Europa. Grazie all’amicizia con Giordano Bruno, che aveva buoni rapporti con i conti di Pembroke e Southampton, nel 1588 Michelangelo Florio raggiunse Londra, dove fu assunto come precettore di lingua italiana e latina della futura regina Elisabetta.

Michelangelo Florio, per cancellare il proprio cognome da calvinista fuggiasco, aveva deciso di farsi chiamare Shakespeare traducendo in inglese il cognome e il nome della madre (Guglielma Crollalanza): shake vuol dire agita, scrolla; spear significa lancia. Il nome Guglielma diventa William.

Come faceva il figlio di un guantaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra nelle sue opere? Come poteva descrivere così fedelmente i luoghi e le usanze delle città italiane in cui sono ambientate molte opere teatrali? Più di un terzo (15) dei 37 drammi shakespeariani sono infatti ambientati in Italia. In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano compagni di studi di Florio all’università di Padova. Sempre in Amleto si trovano numerosi proverbi pubblicati da Florio nel precedente libro italiano I secondi frutti. Nel Mercante di Venezia, il Bardo rivela una conoscenza della legislazione veneziana del tempo, del tutto sconosciuta a Londra.

Molto rumore per nulla è la traduzione inglese di una commedia giovanile del Florio (Tantu traficu ppi nenti). Nella stessa commedia un protagonista se ne esce con una battuta («Mizzeca, eccellenza!»), che soltanto un siciliano poteva conoscere. E, guarda caso, Antonio e Cleopatra è ambientato a Messina, città d’origine di Florio.

A questo punto il mistero si infittisce. Un giovane studioso salentino, Raimondo Rodia, sostiene che la famiglia Florio, in fuga da Messina, e prima di raggiungere Treviso, sarebbe approdata nel Salento, a Galatina, sostituendosi per motivi di sicurezza ad una famiglia locale, i Vignola.

Secondo lo studioso, la scelta di Galatina non sarebbe casuale. Il dialetto leccese e messinese sono molto simili fra loro e i legami commerciali fra il Salento e la Sicilia alla fine del 500 erano fittissimi.

Con la complicità dei Vignola, utilizzano lo stemma araldico dei Crollalanza. Proprio questo stemma si trova in piazza Vecchia a Galatina. Incredibile ma vero, è lo stesso stemma dell’antica famiglia messinese dei Crollalanza, espatriati e in cerca di altri nomi per sfuggire alle strette maglie della persecuzione religiosa di fine 500.

Prima di giungere a Treviso e poi studiare a Padova, forse il giovane Michelangelo giocava ai soldatini nella bellissima piazza vecchia di Galatina. E chissà se si identificava di più nelle imprese del romano Cesare o in quelle del re scozzese Macbeth…

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