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Salvatore Toma, il poeta maledetto salentino che cantava la natura

Salvatore Toma, il poeta maledetto salentino che cantava la natura

Salvatore Toma nasce a Maglie l’11 maggio 1951, da una famiglia di coltivatori e fiorai. Il padre compone stornelli per proprio diletto e Toma respira sin da giovanissimo i ritmi e le cadenze delle canzoni del padre.

Frequenta il ginnasio presso l’Istituto Capece di Maglie, ma per due anni di seguito rifiuta di presentarsi all’esame di ammissione al liceo.

Solo nel 1971, accetta di sostenere l’esame di idoneità alla terza liceale e nel 1972 il consiglio di classe sente il bisogno di motivare così la sua ammissione agli esami di Stato: “Il giovane è molto dotato per l’attività poetica… ha alle spalle una carriera scolastica irregolare, in conseguenza della quale perdurano lacune nella preparazione di alcune materie”. Così formula il suo giudizio il docente di lettere classiche, Claudio Micolano: “Vive di sé, del suo mondo poetico; non ha mostrato interesse ai problemi della scuola”. Presiedeva il consiglio di classe il preside prof. Nicola De Donno.

Il 1971 è un anno molto importante per il poeta magliese. Dopo l’insuccesso della sua prima raccolta di liriche, Poesie (Prime rondini) , uscita l’anno prima, il Toma, tenace per natura, pubblica un secondo libretto di poesie, Ad esempio una vacanza, e lo dedica ad una psichiatra di Bolzano, Barbara Ritter, conosciuta tramite una rivista dell’epoca e della quale si è invaghito. Introduce questa sua seconda pubblicazione Roberto Muci, amico di Toma e neo-insegnante a Lecce. Proprio a Lecce, andando a seguire una delle prime lezioni tenute dall’amico Roberto, Salvatore conosce Paola Antonucci, la donna che sposerà e dalla quale avrà tre figli. Ad esempio una vacanza desta l’interesse di numerosi letterati salentini. Uno, fra questi, sorride sornione: si tratta di Nicola De Donno, che inizia a pensare di averci proprio visto bene.

Nel 1972, terminati gli studi, Toma inizia una breve parentesi universitaria. Si iscrive all’Università di Bologna, facoltà di Lettere e Filosofia, ma non completa il primo anno di studi. Quindi tenta senza successo di superare il provino all’Accademia di Arte drammatica di Roma. L’anno successivo ritorna a Maglie e apre un negozio di ornitologia ed articoli per animali. Animalista convinto, prende parte a numerose campagne contro la caccia e la vivisezione degli animali.

Nel 1977 pubblica Poesie scelte, una raccolta di poesie inedite scritte negli ultimi anni. Inizia a bere dopo la nascita del secondo figlio e continua a farlo per gran parte dei suoi anni, fino a raddoppiare e poi a triplicare quella che era sempre stata la sua corporatura minuta. Assieme alla corporatura di Toma aumenta, però, anche lo spessore della sua produzione poetica. Nel 1979 pubblica Un anno in sospeso, primo di tre volumi che la critica descriverà come i cardini della poetica tomiana. Appena due anni dopo, esce Ancora un anno, con un’introduzione di Donato Valli. Del 1983 è, invece, la silloge Forse ci siamo, pubblicata dal “Pensionante de’ Saraceni”, con la supervisione dell’amico Antonio Verri e l’introduzione di Oreste Macrì, che, concludendo il discorso iniziato tre anni prima nel saggio Naturalismo fiabesco e selvaggio di Salvatore Toma, apparso sul n° 63/64 della rivista “L’albero”, parla del Toma come di uno dei migliori poeti del Novecento europeo. È un periodo molto positivo per il Toma, che si scopre più fiducioso che mai nella grandezza della propria musa. È anche il periodo in cui il poeta magliese crede di più nella possibilità di ottenere un sostegno da qualcuno dei grandi nomi della letteratura italiana del tempo ed, a questi, invia un centinaio di lettere. Molte di queste non ricevono alcuna risposta; altre, invece, recano poche righe di freddi apprezzamenti. È il caso di Montale che, in una lettera dell’11 Aprile 1980, scrive, dopo aver ricevuto e letto il volume Un anno in sospeso, “il Suo libro mi sembra interessante e la ringrazio di avermelo fatto conoscere”. E, ancora, di Prezzolini che, con lettera del 15 Ottobre 1981, scrive, dopo aver visionato Ancora un anno: “non è il giudizio di un critico, ma di un lettore difficile: le sue poesie mi piacciono”.

Così, come spesso accade, ad una fase di splendore segue la più fitta oscurità. Toma è sempre più in balìa dell’alcool. In questo periodo inizia ad avere perfino delle allucinazioni. Con la nascita della figlia femmina sembra dare dei seri segnali di ripresa. Si ricovera a Bari e qui, per un mese, viene sottoposto a delle cure che sembrano sortire l’effetto sperato. Tuttavia la notte del 17 marzo 1987 viene portato di corsa all’ospedale di Gagliano del Capo dove di lì a poco, muore, a soli 35 anni. La notizia della sua morte viene data da Antonio Errico sul Quotidiano di Lecce con queste parole: “Si dice in giro che Salvatore Toma è morto. Non ci credete. È falso. Pensate solo che non è più su questa terra. Perché così lui vuole che si pensi e non possiamo fargli il torto di tradirlo, proprio adesso”. Sulla sua tomba, nel cimitero di Maglie, la famiglia fa incidere la data di nascita e, sotto il nome, il motto a lui caro “a great poet”.

Nel 1991, Maria Corti cura, per Einaudi, la pubblicazione de Il Canzoniere della morte, un’antologia di poesie edite ed inedite del poeta magliese. Il volume incontra subito il favore del pubblico ed entra, in poco tempo, nelle librerie di tutta Italia.

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